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Clelia Romano Pellicano

Clelia Romano Pellicano

Clelia Romano Pellicano, conosciuta anche con lo pseudonimo di Jane Grey, fu una scrittrice e giornalista italiana, convinta europeista e anticipatrice del femminismo italiano ed europeo.

Nobildonna, vissuta tra Napoli, Gioiosa Jonica e Roma, contribuì ad accendere il dibattito sul diritto all’istruzione e  il voto alle donne, oltre che sulla retribuzione del lavoro femminile, ma non vide i frutti del suo impegno perché morì cinquantenne nel 1923.

Nella sua veste di scrittrice compose diversi romanzi in cui descriveva la condizione delle donne calabresi, e collaborò come giornalista alla rivista torinese La donna e a Nuova Antologia romana e, con Matilde Serao, al Giorno e al Mattino.

Biografia:

Nacque nel 1873, dall’unione tra il  barone Giandomenico Romano, giurista e deputato del Parlamento italiano e Pierina Avezzana, figlia del leggendario generale garibaldino.

Visse i primi anni della sua vita a Castelnuovo; in seguito, dopo la morte del padre, sposò giovanissima il marchese calabrese Francesco Maria Pellicano, anch’egli deputato che seguì in Calabria, nella residenza di Gioiosa Jonica.

La vita calabrese ed il confronto con le donne del luogo, stimolarono in lei le prime considerazioni sulla condizione femminile del tempo. Risalgono, infatti, a quegli anni i primi scritti in cui narrava riti popolari e religiosi nella realtà calabrese, e le riflessioni sui rapporti di coppia tra uomo e donna, e le contraddizioni del rapporto tra tradizione e modernità dell’epoca.

Negli anni successive la coppia visse alternando la residenza tra Napoli e Roma, dove Clelia ebbe modo di frequentare i salotti dell’aristocrazia e del mondo culturale dell’epoca.

Alla morte del marito nel 1909, fu la marchesa a prendere in mano le sorti del patrimonio di famiglia e ad occuparsi dei sette figli nati dal matrimonio col marchese. Si rivelò particolarmente abile nella gestione dell’attività familiari che contemplavano attività agricole e la lavorazione industriale della seta.

La marchesa Pellicano, morì ancora giovane il 2 settembre 1923, senza vedere realizzati gli obiettivi di emancipazione e di riconoscimento dei diritti delle donne  per i quali aveva lottato.

 

L’attività letteraria e l’impegno politico

Clelia Pellicano fu una vera attivista femminista che rivendicava l’evoluzione della condizione della donna, in tutti gli aspetti della vita sociale, culturale e politica.

Aderì al Movimento d’autonomia delle donne, sorto con numerosi comitati in Italia nel 1902 e  in 21 paesi esteri, rappresentandolo anche in numerose occasioni, come nel Convegno Internazionale che si tenne a Londra nel 1909.

 

La conoscenza di diverse lingue le permise di partecipare a conferenze femministe internazionali e di condurre un’attività giornalistica come reporter all’estero, attività  insolita per le donne di quel tempo.

Nella veste di  giornalista, fu corrispondente della rivista mensile “Nuova Antologia” di Firenze, nella sede romana, per la quale scrisse un interessante indagine sulle donne calabresi (Donne e industrie nella Provincia di Reggio Calabria, Roma).

Seguirono raccolte e novelle come Coppie del 1900 e La vita in due del 1908, dove affrontava il tema della difficoltà matrimoniali, i problemi sentimentali,  i rapporti con i figli, evidenziando le contraddizioni di un’epoca a cavallo tra i due secoli, in continuo con conflitto tra tradizione e modernità. Nel 1908 pubblicò Novelle Calabresi, La dote, Schiave, Colpo di Stato, Farsa di Rosetta, tutte incentrate sulla condizione femminile nella cornice della realtà calabrese dell’epoca.

Collaborò con le riviste “Flegrea” e “La Donna” per la quale scrisse tre reportage in qualità di socia delegata del CNDI (Consiglio Nazionale Donne Italiane) corrispondente da Londra, dove stava partecipando al Congresso Internazionale femminile.

Nel 1910, scrisse, con lo pseudonimo di Jane Grey (nome di una sfortunata regina inglese all’epoca di Enrico VIII) la prefazione del libro La legge e la donna di Carlo Gallini, opera che ambiva a sollecitare il parlamento italiano ad ammettere le donne al voto.

Nel 1912 curò una sottoscrizione nazionale e intervenne con un contributo personale per favorire il trasporto e la cura dei malati, come diritto fondamentale dei cittadini. Nel 1914 partecipò al congresso per rivendicare i diritti sociopolitici delle donne, a Roma, per richiedere una migliore retribuzione del lavoro femminile al pari degli uomini.

Ha detto:

« Ricordatevi voi donne d’ogni razza, d’ogni paese – da quelli dove splende il sole di mezzanotte a quelli in cui brilla la Croce del Sud – qui convenute nella comune aspirazione alla libertà, all’uguaglianza, strette da un nodo di cui il voto è il simbolo, ricordatevi che il nostro compito non avrà termine se non quando tutte le donne del mondo civilizzato saranno sempre monde dalla taccia di incapacità, d’inferiorità di cui leggi e costumi l’hanno bollate finora! »


Riferimenti e approfondimenti

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